"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla"
Gabriel Garcia Marquez
I MIEI RACCONTI:
Numero 18
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DICIOTTO ANNI
Domani è il mio compleanno.
Diciotto anni.
Finalmente!
Quante cose si possono fare a diciotto anni!
Posso prendere la patente. So già guidare… non sarà difficile, devo solo studiare bene la teoria.
E poi posso iscrivermi all’Università. I miei non sono d’accordo, dicono che devo solo pensare a sposarmi.
Certo, sposarmi… da domani anche questo posso fare, senza chiedere il loro permesso.
Papà vorrebbe darmi in moglie a un suo amico d’infanzia. Ma è un vecchio! Ho visto la sua foto, io non lo voglio!
Io voglio sposare Stefano invece, che ha solo due anni più di me.
Ci vediamo di nascosto… e ci amiamo tantissimo!
Quante cose potrò fare da domani!
Per esempio: non ho intenzione di farlo eh… non ancora almeno, perché i soldi non li ho… ma solo l’idea che posso comprare un biglietto aereo senza chiedere il permesso a nessuno, mi fa saltare di gioia!
E posso anche decidere di affittare una casa e andare a vivere da sola. Magari…
Quante cose belle potrò fare a diciotto anni!
La più importante è che potrò votare.
Beh… forse.
Il diritto al voto per me non è automatico.
Ah, sì… perché… io sono nata qui diciotto anni fa, ma non sono ancora italiana visto che i miei genitori vengono dal Pakistan.
Mi chiamo Najma.
Io, per avere diritto al voto, devo prima chiedere la cittadinanza italiana.
E questo lo posso fare appena compiuti diciotto anni… cioè domani!
È la prima cosa che farò, quella a cui tengo di più.
Non voglio perdere tempo!
Ma qualcuno mi deve aiutare.
Da sola non riesco ad uscire da qui.
Mi cercano da diciotto ore almeno.
Ma non mi trovano, sono nascosta bene.
“Sono quiiii!!!”
Nessuno mi sente
“Ehi! Sono quaggiù!!!”
Niente.
Questo pozzo deve essere profondo almeno diciotto metri.
Chiamo, ma nessuno mi sente.
Eppure mi sembra di urlare.
È buio.
Sento freddo.
Forse perché non ho più sangue nelle vene.
Diciotto pugnalate lo hanno fatto uscire tutto dal mio corpo, proprio tutto.
Eh sì… papà è proprio bravo, quando decide di fare una cosa la fa come si deve.
“Ehi lassù! Mi sentite?”
Silenzio.
“Domani è il mio compleanno, voglio festeggiare!”
Diciotto anni.
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Numero 20
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TAXI ‘ORBETELLO 20’
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CORSA 01
“ Buongiorno, dove andiamo?”
“All’ospedale Sant’Andrea per favore. Pronto soccorso”
“Signora è per lei? Non sta bene?”
“ Scusi sa, ma lei va ar pronto soccorso, se sta bene? Sto male, ovvio.”
“No, certo, ma… per sapere, magari andava a trovare qualcuno. Devo correre? Cosa si sente? È urgente?”
“ Be’, a quest’ora può pure corre, traffico ancora nun ce n’è. Che ore so’?”
“ Sono le sei meno dieci signora. Vediamo il satellitare che strada ci fa fare… sennò io conosco delle scorciatoie. Stia tranquilla, arriviamo velocemente.”
“Vabbè…” (sospira)
“Signora… tutto bene?”
“Ma sì, tutto bene! Come no. Non se stia a preoccupà, ho chiuso l’occhi solo pe’ vede se me cancello dalla mente la faccia di quer gran fijo de ‘na mignotta. Nun so’ pronta ancora pe’ morì… stia tranquillo.”
“No, certo, be’… ci mancherebbe!”
“È che c’ho l’ansia, n’angoscia che me chiude la gola, che nun me fa respirà. Me pare de soffocà, come se i pormoni non c’avessero più voija de lavorà. Pe’ fortuna ar pronto soccorso ce so’ l’amiche mie, me conoscheno bene. La caposala poi… caruccia, me tratta come fossi su’ madre. Ormai ce vengo armeno ‘na vorta ar mese, quando me prendono ‘ste crisi de panico. Me fanno un ricovero d’urgenza, ‘na puntura pe’ carmamme, e così una, du’ notti ‘e passo lì. E me tranquillizzo. Certo, a vorte c’è ‘na ressa che me tocca sta’ ner coridoio. Ma a me un posto me lo troveno sempre. Con me se diverteno, le faccio ride… je racconto ‘e storie mie. Quanto so’ carucce.”
“Be’, meno male. È fortunata allora. A mia suocera l’hanno fatta fuori prima di trovare un posto al pronto soccorso. È morta in ambulanza, fra il secondo e il terzo trasferimento da un ospedale all’altro.”
“ Me dispiace…”
“No, vabbè… lei era ‘na rottura de cojoni eh! Però, voglio dire, era sempre un essere umano. È una questione di principio no? Che… stiamo a gioca’? Oh, al posto suo ci potevo essere anch’io. No?”
“…’nfatti, come no. Ecco, vedi… se il pronto soccorso fosse ‘n gioco, me carzerebbe a pennello: fortunata ner gioco, sfortunata in amore. Quer fijo de bona donna. Ce casco sempre. E sempre de domenica eh! Manco nun lo sapessi che, a ‘na certa, ariva. Cor suo macchinone, tutto vestito bene, profumato, galante. Che nun ce lo so che ha passato la notte con una delle sue strafighe? Però, deve veni’ a cerca’ a me. ‘Mi manchi’ , me dice. E io ce casco, me lascio infinocchià da quegli occhioni dorci e dalla giacca de cachemire. Je manco? Sto brutto fijo de na mignotta. Je manca quello che l’artre nun c’hanno, ecco che je manca. Se je mancassi io, nun me butterebbe fora da ’a machina appena s’è preso quello che voleva… ‘sto fijo de ‘na bocchinara, artro che occhi dorci!”
“Ah… ecco. Certo. Capisco. In che senso, scusi?”
“In che senso che? Come me butta fora da ‘a machina? Me lascia lì, ner mezzo da ‘a strada. Nun ce pensa proprio a riaccompagnamme a casa… me molla, me scarica manco fossi un sacco de monnezza.”
“No… intendevo… in che senso… ‘quello che l’altre non c’hanno?’”
“Amore de zia… ma per quale motivo pensi che quelli come quer fijo de bona donna, vengano a cercamme? Guarda che ce lo so che non so’ più de primo pelo e che c’è pieno de gran fighe in giro… ma è quello che c’ho io fra le gambe, che l’artre non c’hanno. E è proprio quello che ‘sti maschioni arfa vonno: esso, lui, er capitone, il mostro di Loch Ness. Capito ora, tesoro?”
“Siamo arrivati. Veloci no? Sono diciotto euro.”
“Ce n’ho venti. No, tieniti il resto, sei simpatico bello de zia. Ciao.”
“Auguri eh!”
CORSA 02
“Buongiorno…”
“ A Fiumicino per favore. All’aeroporto. Partenze internazionali.”
“Bene. Sa il terminal?”
“No. Ossia, non me lo ricordo. Ora guardo sul telefonino.”
“Faccia con comodo.”
“Lei vada, vada che non posso rischiare di perdere l’aereo, io intanto cerco il terminal. Allora, ho scaricato il biglietto su Note… ecco, si apre… ecco, ecco… Ma chi è ora? … Ah. Pronto? … Sì, mi dica. … Sì, gliel’ho detto: per tutti io rientro martedì, dica che sono fuori per un congresso, senza entrare nei dettagli. … Ma sì, Bruxelles, no? … Certo. … Certo, anche a mia moglie. Ma tanto lei non telefona, perché dovrebbe? Le ho detto io del congresso. … Ovvio. … Mi raccomando. … Lunedì sera la chiamo io, così mi dice chi mi ha cercato e mi posso regolare, va bene? … Grazie. … Buon fine settimana anche a lei.”
“Certo… sti congressi a fine settimana eh? Ma almeno vi danno del tempo libero per fare un po’ di turismo?”
“Certo, come no. Allora. Il terminal. Vediamo vediamo… sul checkin dovrebbe essere segnato. … Eh no! Ancora? … Sì? … Sì, tesoro, eccomi. … Sono in taxi, dove vuoi che sia? … Ci siamo appena lasciati, come faccio ad essere arrivato, scusa? … Anche a me già mi manchi, ma sono uscito da quindici minuti. … Certo. … Certo, sì, ti capisco. … Anch’io. … Sì dai una bacio ai bambini. … Ma certo che li ho baciati, ma dormivano. … Va bene. … Certo. … Appena arrivo. … Promesso. … Anch’io. … Ciao. … Ciao. … Ciao davvero ora. Dai, devo cercare il terminal sul telefonino sennò l’autista non sa dove portarmi, su. … Ciao. … Ciao ciao.”
“Duro eh, lasciare la famiglia per via del lavoro. Poi quando i bambini sono piccoli…”
“Certo, come no. Vediamo se riesco a trovare sto cavolo di terminal. Allora, eccolo. No, questo è il ritorno… dunque… questo è il codice, il numero del posto, e… il terminal…il terminal… No, cazzo! Proprio ora? … Eccomi. … In taxi. … Sì. … Altro che. … Sapessi io. … Certo. … No, no, io di più. … E poi? … Non ci credo. … Non ci credo. … Sì. … Ci credo. … Ci credo. … Ti ho detto che ci credo. … Figurati. … Non te lo dico. … No. … Perché non posso. … E certo. … È ovvio. … Infatti. … Prova a dirlo tu. … Ecco. … Ecco. … Anche. … Sì. … Questo sì. … Anche quello. … E poi quell’altra cosa. … No. … Nemmeno. … Quasi. … Sì, certo. … Indovina. … No, no, no. … Nemmeno. … Fuochino. … No. Acqua. … Fuochino ora. … Attenzione che ti bruci. … Fuochissimo. … E certo. … Dubitavi? … Vedrai. … Vedrai. … Non mi sfidare. … Non ti conviene. … Ah sì? … Allora ti conviene. … Certo. … Va bene. … Come? … Il congresso , no? … Certamente. … Semplice. … Anche il tuo aereo parte fra poco, no? … Ci vediamo lì. … Certo. … Vai. … Ok. … Anch’io. … Tanto. …Ciao. … Ciao. … Ciao ciao.”
“ Colleghi che arrivano da tutte le parti, a questi congressi, eh?”
“Certo, come no. Beh ora devo trovare sto terminal. Siamo già all’aeroporto! Allora… ecco, ecco. Sì, questa è l’andata, ecco. Allora… Fiumicino – Tenerife… ecco. Eccolo qui: 3. Terminal 3. Ce l’abbiamo fatta. Appena in tempo eh? Eccoci arrivati, bene, ho tempo anche per il caffè. Il trolley lo prendo io, non si preoccupi. Ecco qua. Tenga il resto.”
“Grazie, dotto’. E buon congresso.”
“Certo, come no.”
CORSA 03
“Buonasera Signora. Salga, l’aiuto io a caricare i pacchi.”
“Grazie, intanto mi tolgo il cappotto, che con questo tempo non si sa più come vestirsi.”
“Eh sì, è vero, non ci sono più le mezze stagioni. Dove andiamo?”
“Viale Parioli, al 20. Ha ragione… ormai si passa direttamente dal cappotto alle mezze maniche.”
“Non è tanto il caldo, quanto l’umidità… ma l’importante è bere tanta acqua”
“Eh, fare shopping in queste condizioni… vabbè, bisogna farsene una ragione. È la vita.”
“A tutto c’è rimedio, tranne che alla morte.”
“Eh sì, la morte… ma sono sempre i migliori che se ne vanno.”
“Infatti. Ma l’ha letto di quel povero vecchio che hanno ammazzato ieri? No, vabbè. Non c’è più rispetto per gli anziani.”
“Proprio così. E quello che l’ha ammazzato? Sembrava tanto una brava persona.”
“Ma poi… è un ragazzo. Il fatto è che i giovani d’oggi vogliono tutto e subito.”
“Già, è così… oggi ci sei, domani chissà.”
“Che tempi! È proprio vero: si stava meglio quando si stava peggio!”
“Eh, si… una volta si poteva lasciare la porta aperta.”
“Infatti. E poi… ai tempi nostri ci si divertiva con poco.”
“Ma poi, vuol mettere… una volta i cibi erano più sani!”
“Ma sì, la verdura di una volta aveva più sapore.”
“ A proposito di verdura… lo sa che qui una volta era tutta campagna?”
“E ora, eccoci qua. Tutto cemento.”
“Eh, beh, che vuol fare, hanno approfittato: il mattone è sempre un buon investimento.”
“Sì… ma la verità è che ormai è tutto un magna magna.”
“E certo, in Italia son tutti furbi!”
“E qui casca l’asino. Prenda i supermercati: hanno ucciso il piccolo commercio.”
“E così, è sempre la povera gente che ci rimette.”
“Oh! Il tempo vola.”
“Eh sì, ti giri… e ti ritrovi vecchio.”
“No, intendevo: Il tempo vola… perché siamo arrivati: Viale Parioli 20.”
“Ah, ecco. Bene. Quant’è? Diciotto e cinquanta? Ecco guardi, ce li ho precisi precisi, scusi eh… non c’ho nemmeno un centesimo di più. Guardi, manco a farlo apposta: precisi precisi.”
“Tranquilla… i soldi non sono tutto nella vita. Ecco i suoi pacchi.”
“Auguri e figli maschi!”
“Grazie. Non si finisce mai di imparare.”
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P.S.
Il cliente della corsa 01, non è inventato. Ho avuto modo di condividere con lei quasi una intera giornata, recentemente, al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Andrea. E così ho immaginato il suo arrivo in taxi.
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Numero 74
LA SPIRALE
Una scala a spirale si eleva perdendo il suo apice fra raggi di luce.
Attrazione verso l’alto, senso ascensionale, metafora della vita.
Scalini da affrontare con gioia, apprensione, paura, fiducia, coraggio, amore… ora lentamente, ora correndo, poi rallentando.
Settantaquattro raggiunti, per ora.
Zero: luce!
Uno: camminare
Due: guardare
Tre: ridere
Quattro: parlare
Cinque: giocare
Sei: a, b, c…
Sette: leggere
Otto: studiare
Nove: le tabelline
Dieci: il primo esame
Undici: nuovi amici
Dodici: il primo amore
Tredici: esami
Quattordici: la città
Quindici: lo stupore
Sedici: fa soffrire, l’amore
Diciassette: l’Arte
Diciotto: la contestazione
Diciannove: la maturità
Venti: l’Amore
Ventuno: una nuova vita
Ventidue: servire la Patria?
Ventitré: il primo lavoro
Ventiquattro: alla scoperta del mondo
Venticinque: lavoro, lavoro
Ventisei: viaggi, lavoro, viaggi…
Ventisette: “il” lavoro
Ventotto: impegno
Ventinove: responsabilità
Trenta: risultati
Trentuno: successo
Trentadue: contratti
Trentatré: Giappone
Trentaquattro: tanta energia
Trentacinque: viaggi, lavoro, viaggi…
Trentasei: Oriente
Trentasette: desiderio, forte, di un figlio
Trentotto: successo, ancora Oriente
Trentanove: gratificazione
Quaranta: lutto, il più grande
Quarantuno: Parigi
Quarantadue: si chiude una fase
Quarantatré: dalle stelle alle stalle: Brasile
Quarantaquattro: impegno sociale, ‘figli’
Quarantacinque: coinvolgimento totale
Quarantasei: un grande progetto
Quarantasette: appagamento
Quarantotto: chiusura di un’altra fase, confusione
Quarantanove: ricerca
Cinquanta: la crisi del mezzo secolo
Cinquantuno: esperimenti, arte, arte, arte
Cinquantadue: come in un limbo
Cinquantatré: tentativi
Cinquantaquattro: studiare ciò che si ama
Cinquantacinque: il lavoro, quello degli studi
Cinquantasei: Parigi
Cinquantasette: un cantiere dietro l’altro
Cinquantotto: dopo Parigi, Roma
Cinquantanove: nuovi cantieri
Sessanta: il teatro
Sessantuno: passione
Sessantadue: entusiasmo
Sessantatré: ciao, papà!
Sessantaquattro: scrivere, poi in scena
Sessantacinque: nuove esperienze
Sessantasei: arte, ricerca della bellezza
Sessantasette: creare
Sessantotto: scrivere
Sessantanove: pubblicare
Settanta: covid
Settantuno: da solo?
Settantadue: lutto: il primo non era il più grande
Settantatré: la giusta unione
Settantaquattro: scoprire di avere un ‘figlio’
….l’ascesa è sembrata tutta d’un fiato!
Quanti scalini ancora?
Non importa.
Importante, quelli che restano, salirli tutti con amore.
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Numero 80
80 LIRE IN BIANCO E NERO
Giulio Bardi era un tipo strano.
Non parlava quasi mai, arrivava in classe all’ultimo momento, si sedeva sempre in un banco in fondo all’aula, e quando era interrogato rispondeva da sufficienza.
Era la seconda volta che frequentava il primo anno di Liceo, ma probabilmente anche alle medie doveva aver già fatto l’esperienza di ripetere l’anno, altrimenti non si spiegava quel suo aspetto da adulto… infatti quando le ragazze gli chiesero l’età, scoprimmo che aveva tre anni più di noi.
Basso, tarchiato, era ricoperto di peli neri. Lo si deduceva da quelli che aveva sul dorso delle mani e da quelli che gli spuntavano dal collo della camicia, un tutt’uno con l’attaccatura della barba che, benché ogni giorno perfettamente rasata, ricopriva le sue guance un po’ paffute di una specie di carta vetrata grigia. Anche i capelli erano scuri come la pece, così grossi e fitti da formare una specie di casco che terminava in lunghi basettoni.
Inoltre soffriva di piedi piatti: camminava con le punte in fuori e senza piegare il ginocchio… è facile immaginare come fosse stato scontato e prevedibile guadagnarsi il soprannome di Calimero!
Nei primi mesi di scuola ebbe pochissimi contatti con gli altri studenti: il fatto che non abitasse a Firenze e che dovesse organizzarsi con i pochi treni a disposizione, lo obbligava ad arrivare la mattina appena in tempo al suono della campanella e scappare subito dopo l’ultima lezione.
Dopo le vacanze di Natale tornò a scuola con un’espressione diversa sul viso: aveva un sorriso perennemente stampato sulle labbra… sembrava soddisfatto di qualcosa che evidentemente gli rendeva le giornate allegre.
Le ragazze ipotizzarono subito che fosse così felice perché aveva trovato una ragazza.
Le più cattive replicarono però che non era possibile: nemmeno Paperina si sarebbe mai accompagnata a Calimero! Curiose di saperne di più, un giorno mandarono in avanscoperta Rigoli, che era l’unico che aveva parlato un po’ con lui nei cambi di aula fra una lezione e l’altra.
Anche Bruno Rigoli era un tipo particolare: alto e grosso, aveva la stazza di un adulto. La faccia imberbe e lo sguardo innocente gli davano però l’aspetto di un bambinone troppo cresciuto.
Vicino a Bardi, comunque, sembrava un gigante! Dal momento di quella “spedizione” i due divennero inseparabili, e l’unica notizia certa fu che: no, Bardi non aveva una fidanzata.
La strana coppia, ormai sempre nello stesso banco, faceva parlare di sé perché a tutti sembrava sospetta quella improvvisa intimità fra due persone così diverse: lo sguardo furbetto di Giulio contrastava troppo con l’espressione innocente di Bruno, ed era evidente che esisteva una sorta di predominanza psicologica del primo sull’altro.
Rigoli infatti aveva un carattere decisamente debole, e non ci volle molto a estorcere informazioni su cosa stesse succedendo.
Nel giro di una settimana lo sapevamo tutti: Calimero aveva un “pacchetto” di foto pornografiche!
La notizia non era ancora arrivata al gruppo delle femmine, e per un po’ rimase un segreto fra maschi.
A turno ognuno di noi trovò un momento di intimità con Bardi per prendere visione di quelle immagini che erano diventate l’argomento più chiacchierato fra i banchi.
Arrivò anche il mio turno. Una mattina che uscimmo due ore prima del previsto a causa dell’assenza del professore di Ornato, lo affrontai fuori dalla scuola, sotto la loggia dell’Accademia.
E le vidi: erano foto piccolissime, lucide.
Ovviamente in bianco e nero.
Me le mostrò come fossero carte da gioco, “spizzandole” una ad una: una sequenza di regine cavalcate da re e cavalieri. La dimensione delle immagini però era tale che si sarebbero potuti intravedere i dettagli anatomici solo con un microscopio!
Ebbi la conferma di quello che avevo sentito dire dai miei compagni: si potevano ordinare delle copie, che lui vendeva - visto che conosceva il proprietario dei negativi - a 80 lire l’una.
Hai capito Calimero?!
A me, fino ad allora, la cosa più “osé” che era capitata sotto gli occhi era una rivista francese di donne nude: foto in bianco e nero leggermente colorate, dove le immagini non si differenziavano molto da quelle delle classiche statue che rappresentano Venere o altre divinità greche, perché i punti cruciali erano stati sapientemente “sfumati”. Il ricordo di quelle immagini, viste di nascosto qualche anno prima, non mi aveva mai eccitato, e non era mai stato di supporto alla masturbazione. Credo che fino ad allora l’eccitazione arrivasse regolarmente, e puntualmente, a prescindere, e che la necessità di sfogo non fosse la conseguenza di immaginazioni o fantasie. Era tutto totalmente fisico e non mentale.
Da quel giorno, invece, ci fu un cambiamento radicale nelle mie attività sessuali: le foto del Bardi, di cui non acquistai nessuna copia, rimasero impresse nei miei occhi, e diventarono quella “fonte di ispirazione” di cui non avevo avuto necessità prima.
Fu, indubbiamente, un ulteriore passo verso la perdita dell’innocenza.